Storytelling Chronicles #9: La casa stregata di Silvia Bucchi

Cover di Tania

Anche questo mese di ottobre, torno con la rubrica Storytelling Chronicles, ideata dalla nostra Lara de La nicchia letteraria. Il tema di questo mese, che è poi quello di Halloween è una ambientazione spettrale. Mi sono ricordata di un’esperienza vissuta tanti anni fa con gli scout e ho deciso di ispirarmi. Qui vi lascio qualche informazione utile: Chi sono le scolte , chi sono le guide  

chi sono gli esploratori 

Storytelling Chronicles #9

Mese: Ottobre 2020

Titolo: La casa stregata

Autrice: Silvia Bucchi

 

Positiva. Quella parola da una settimana rimbomba nella mia testa. Oggi è il 31 ottobre del 2020 e mi rendo conto, per la prima volta, di cosa sia davvero la paura. Non quella che deriva da  un film dell’orrore, da  uno zombie o da un fantasma, ma da un virus impercettibile agli occhi, ma dalle conseguenze inquietanti, chiamato COVID-19. La paura mi assale soprattutto di notte, perché è in quel momento che la solitudine, che accompagna sempre questa malattia, si fa più intensa. Penso a mio marito e alle mie figlie, che sono nell’appartamento accanto e che posso vedere solo attraverso il vetro di una porta finestra. Mi domando se io sia stata abbastanza prudente, se abbia fatto  tutto il possibile per tutelarli, ma per il momento i risultati dei loro tamponi sono negativi. Ho il terrore di peggiorare e temo che i sintomi possano aumentare. Nei momenti più cupi sono impietrita al pensiero di poter essere intubata o di finire da sola in un reparto di terapia intensiva. So che sono stata fortunata, che ho dei sintomi lievi e un piccolo bilocale dove potermi isolare. L’ansia, però, mi assale e cerco di controllare non solo i battiti del mio cuore, che sembra scoppiare all’interno del mio petto, ma anche  la mia respirazione, che è troppo irregolare. Non appena riesco a calmarmi, qualcuno bussa alla porta finestra e deposita sullo scalino un vassoio speciale, ricco di leccornie da assaporare e di dolcetti a forma di zucca e di fantasma.  Matteo, mio marito, indossa delle buffe corna da diavolo e un mantello rosso. Questo travestimento è sicuramente opera delle mie due bambine, che hanno una particolare predilezione per Halloween perché tanti anni prima, proprio durante la notte delle streghe, i loro genitori si erano incontrati per la prima volta. Serena, di otto anni, indossa  la sua tutina da scheletro e noto, con un certo piacere, che suo padre è stato bravo, nonostante le sue scarse abilità con il maquillage, a dipingerle il volto di bianco e il nasino di nero. Si è superato anche con Roberta, di soli sei anni, che mi sorride, con il suo vestito arancione da zucca. Vedere la dedizione con cui Matteo si è preso cura delle bambine, preparando i loro costumi e l’amore nei miei confronti impresso nei loro sguardi, mi provoca un groppo alla gola, che tento di scacciare via, abbozzando un sorriso. Non posso  mostrarmi triste perché devo essere forte per loro, per le tre persone che più amo al mondo, insieme ai miei genitori. « Dolcetto o scherzetto?» urlano le mie bambine in coro. 

«Abbiamo cucinato i pasticcini pensando a te, mamma. Papà è davvero negato a preparare i dolci, però sono stata brava e gli ho dato una mano. » mi spiega Serena con un largo sorriso. 

«Anche io ho aiutato papà.» si indigna Roberta, lanciando uno sguardo risentito alla sorella maggiore, che inizia a sbuffare. 

Darei qualsiasi cosa pur di poterle abbracciare. Quanto vorrei poter stare con loro, giocare con le Winx, pettinare i loro capelli o aiutarle a fare i compiti. Sento persino la mancanza dei cartoni di Peppa Pig, che Roberta pretende di vedere per ore ed ore, scatenando l’indignazione di Serena, che si considera troppo grande per quelle “stupidaggini da bambine piccole”. 

Osservo Matteo e mi rendo conto che il suo volto è tirato e stanco. Non deve essere facile per lui occuparsi da solo di Serena e Roberta, che sono due veri e propri terremoti, soprattutto adesso, che non possono avere la loro mamma accanto. Alla fatica si aggiunge anche la preoccupazione per me e per le mie condizioni di salute, che potrebbero peggiorare. 

Stare lontana dai miei cari è una prova difficilissima. Durante il nostro lunghissimo fidanzamento, mio marito ed io avevamo vissuto separati per ben cinque anni, perché avevo deciso di lasciare Roma per frequentare l’università a Bologna e lui non aveva potuto seguirmi. Questa volta, però, la situazione è completamente diversa perché li sento vivere, respirare, muoversi nell’appartamento accanto, ma non posso essere al loro fianco. Sono così vicini ma allo stesso tempo così lontani.  

Matteo conduce via le bambine, attraverso il grande giardino che separa i nostri due  appartamenti, perché il clima è rigido e io devo riposare. Loro si allontanano e si dirigono verso la nostra casa, mentre io, ormai sola, apro la porta e afferro il vassoio, utilizzando i guanti, l’igienizzante e la mascherina. Mi avvicino al tavolo, mi sistemo e inizio ad assaggiare i dolci. Purtroppo, però, non sento più nulla. Ho perso il senso del gusto e dell’olfatto, due dei sintomi lievi di questa infida malattia, che sta cambiando  le nostre vite. La cioccolata non ha più nulla che riesca a farmela classificare come tale e io sento solamente un enorme vuoto. Il nulla. Ho bisogno di abbandonarmi a dei pensieri lieti e realizzo che sicuramente Matteo, Serena e Roberta in questo momento, saranno in soggiorno a guardare delle vecchie foto. Immagino mio marito mentre racconta alle nostre bambine della casa stregata, degli scout e della prima volta che il papà ha incontrato la loro mamma, lasciando un segno indelebile nella sua vita. So cosa fare per sentirmi vicino alle persone che amo, quindi decido di abbandonarmi ai ricordi.

 

31 ottobre 1998

 

Halloween è ormai giunto e come al solito il mio gruppo scout ha organizzato un evento per festeggiarlo. Non sono una fan di questa festa e non so cosa ribattere quando mio padre la definisce un’usanza americana che qui da noi non ha alcun senso, però ammetto che mi piace indossare una maschera e nascondere il mio corpo goffo e i miei capelli crespi. Nel mio gruppo l’aspetto estetico conta molto, così come collezionare fidanzati. Sembriamo di più i protagonisti di una puntata di Beautiful, che degli scout. Ho usato la prima persona plurale, ma ho commesso un errore. Sarebbe meglio affermare che sembrano i protagonisti di una telenovela.  Terza persona plurale. Io, purtroppo sono la grande esclusa, colei che si limita a guardare. Forse con un vestito da strega durante la festa di Halloween, posso attirare un po’ di più l’attenzione, ma sono sempre destinata a fare tappezzeria. Quest’anno, invece, i nostri capi hanno deciso di annullare il consueto Gran Galà della notte delle streghe per dare vita a una casa stregata. La reazione delle mie compagne è stata di totale sdegno, ma io sono euforica. Sin da bambina, quando i miei genitori mi accompagnavano al luna park, le case dell’orrore hanno esercitato su di me un fascino unico. Mio padre mi ha spiegato che si trattava di finzione, di pura illusione e che nessun mostro, vampiro, mummia o strega avrebbe potuto mai farmi del male. Non riesco a portare a termine la visione di pellicole come L’Esorcista, ma la casa degli orrori del Luneur non ha più segreti per me. Con lo stesso spirito combattivo, certa che non mi lascerò andare a comportamenti puerili, urlando a squarciagola, mi metto in fila insieme alle mie compagne di squadriglia e agli altri scout del mio gruppo.Siamo davanti alla villa di Ettore, uno degli organizzatori, che è l’unico ad avere una dimora che sembra un castello, anche se normalmente il suo aspetto non è così spettrale. Siamo tutti al buio e ogni capo squadriglia è dotato di una torcia, che servirà per illuminare il terrificante percorso suo e dei compagni all’interno della casa. Mentre gli esploratori, che si sentono già uomini fatti, anche se sono ancora tutti nel bel mezzo della pubertà, sono certi che affronteranno queste prove senza lasciarsi turbare, le guide sono decisamente preoccupate. Anche le più grandi hanno qualche timore. Con una spavalderia e un’arroganza che generalmente non mi appartengono, mi rivolgo alle mie compagne. 

«Non c’è nulla da temere. Sono solo i nostri capi e i ragazzi più grandi che si sono mascherati. Faranno la loro apparizione da dietro un armadio oppure faranno sbattere un po’ le porte e le pentole. Sono curiosa di vedere che cosa avranno combinato. Sono due mesi che si impegnano per organizzare l’evento e riuscire a riprodurre gli effetti.»

Isabella, una delle ragazze più carine e richieste del gruppo, mi fulmina con lo sguardo e scuote la testa. So benissimo cosa sta pensando. Crede che io sia strana. Intelligente, brava a scrivere i discorsi o gli articoli per il giornalino del Riparto, ma folle come il Cappellaio Matto di Alice. 

Mi guarda e mi sfida: « Allora sei davvero sicura che non ti spaventerai, che non urlerai e che non fuggirai via dalla casa stregata, vero?» 

Non ho nessuna intenzione di cedere e per una volta desidero dare a quella sbruffona, che mi ha sempre deriso, ciò che merita. 

«Certo. Non urlerò, non fuggirò e non me la farò sotto.» 

Una voce, però, interrompe il nostro scambio di battute e un ragazzo, che come noi indossa l’uniforme e che avrà all’incirca la mia stessa età, ci raggiunge e si intromette nella conversazione, provocando in me una forte irritazione. Non porta  il fazzolettone al collo, ciò vuol dire che non ha ancora pronunciato la Promessa e che quindi, è un nuovo acquisto degli esploratori e questo spiega, in effetti, il motivo per cui non l’ho mai visto prima. 

«Non ti sembra di avere un atteggiamento un po’ troppo arrogante? Gli dei puniscono chi pecca di hybris e dal canto mio sono certo che entro la fine della serata, riuscirò a farti urlare dal terrore.» Lo sconosciuto fa questa affermazione, con una tracotanza tale da indignarmi, mentre il suo volto viene illuminato dalla torcia che Isabella tiene in mano. Sono costretta ad ammettere che lo scostumato  è davvero un bel ragazzo e già riesco ad immaginare il successo che otterrà tra le mie amiche. Con i suoi occhi celesti e i capelli, che nonostante il buio, mi sembrano biondi, di sicuro farà strage di cuori nel nostro gruppo. Non mi dà il tempo di ribattere, perché scompare velocemente, raggiungendo, molto probabilmente, i suoi compagni di squadriglia. 

«Chi è quel tizio? Voi lo conoscete?» chiedo ad Isabella, che mi squadra nuovamente, scuotendo la testa. 

«Ma in quale universo vivi, Martina? Quello è Matteo Rossi, il nuovo arrivato della squadriglia Volpi. Non mi stupisce che tu… » Isabella sta per insultarmi, lo so, ma veniamo interrotte di nuovo. Un suono metallico, il rumore di una porta che sbatte e una risata sinistra riempiono l’aria. Sento le mie compagne irrigidirsi. Una voce piuttosto inquietante ci raggiunge e ammetto che se non sapessi che è tutta opera degli organizzatori, avrei iniziato a tremare anche io. 

«Benvenuti, miei cari. Benvenuti nel castello dove ogni vostro incubo diventerà realtà. Entrate e tremate, miei poveri umani.» La voce è davvero spettrale, così come la risata, che accompagna queste parole. 

Ci mettiamo in fila indiana ed entriamo nella casa. Il pian terreno sembra piuttosto tranquillo, se così si può definire una sala con il soffitto pieno di ragnatele, nelle quali sono rimaste impigliate delle farfalle, che secondo i miei calcoli, considerando anche la scarsa visibilità, potrebbero essere di cartapesta. Dei suoni piuttosto inquietanti si diffondono all’interno della stanza: porte che sbattono, il bubolare di un gufo, una risata sinistra probabilmente dovuta a uno zombi, un rumore metallico, che non riesco ad identificare. Mi volto e vedo una testa mozzata, circondata da alcune dita, sanguinanti. 

Adoro tutto questo, penso mentre cerco di rassicurare la mia amica Eugenia, che sta tremando come una foglia. La voce ci invita a non indugiare e a salire le scale e noi ubbidiamo. Sento  anche le risate di qualche esploratore che si diverte a prendere in giro le guide, che vorrebbero fuggire da quel luogo infausto, che io sto amando. Chissà cosa incontreremo al piano superiore? Giungiamo a destinazione e la torcia di Isabella illumina una finestra. Le tende nere sono state distrutte e sono piene di graffi. I segni hanno delle dimensioni notevoli e di certo non è stato un gattino a ridurre i tendaggi in quello stato. Un lupo mannaro mi sembra l’ipotesi più plausibile e l’ululato che spezza l’aria, conferma la mia ipotesi. 

Gli organizzatori sono dei geni, penso con una certa soddisfazione, perché nessuno per il momento è riuscito a spaventarmi. Raggiungiamo un’altra stanza e vediamo una bara aperta. All’interno c’è una fanciulla molto pallida, vestita di bianco. L’abito è ricoperto da delle chiazze scure. Sicuramente è la salsa di pomodoro, che i capi hanno comprato al discount e che stanno cercando di far passare per  sangue. Sul collo della defunta vi sono dei segni: è stata morsa da un vampiro che l’ha lasciata esanime. Il colpevole deve essere sicuramente il giovane uomo, credo Daniele, travestito da conte Dracula, che ha la testa china sul collo di Tiziana, la scolta che impersona alla perfezione l’incauta fanciulla morsa dal terribile signore della notte. Il vampiro alza il viso e punta i suoi occhi verso di noi mentre il sangue scende dalla sua bocca e dai canini aguzzi, per colare sul collo e infine inzuppare il vestito della sua vittima. L’urlo di Isabella fa gelare il sangue dei presenti, più della visione di finta morte che abbiamo davanti agli occhi. Subito dopo sentiamo un rumore di passi, sempre più vicini. Sicuramente proviene dalla cassetta registrata che gli organizzatori stanno riproducendo in loop. I gufi riprendono a bubolare, Isabella a urlare e le porte a sbattere. Io, dal canto mio sono sempre più soddisfatta. Sto vincendo la sfida che mi ha lanciato quel tizio arrogante e sto vivendo un’esperienza incredibile perché questa casa degli orrori è la migliore che io abbia mai visitato e riesce a battere persino la storica attrazione del Luneur. Il pezzo forte è in arrivo e lo comprendo quando l’aria viene squarciata dalla solita risata sinistra e i passi appartengono a un essere umano in carne ed ossa e non a un’audiocassetta registrata. 

 

Noto un caminetto imbrattato di ragnatele, sicuramente finte e delle vecchie candele appoggiate su una mensola. All’improvviso appare una figura femminile, pallida e vestita di bianco, proprio come la vittima del Conte Dracula, che abbiamo incontrato prima. Isabella e le altre ragazze lanciano delle grida terrorizzate e persino qualche esploratore trattiene il respiro. Io mi limito ad osservare la figura che ho davanti. Indossa un abito bianco e antico, i suoi capelli sono neri e decisamente spettinati eppure è bella e terribile allo stesso momento, con quel suo viso pallido e affascinante e la corda che le pende dal collo. Si è impiccata e il suo fantasma vaga per la villa. Tutto tace e la poverina è muta, con lo sguardo perso nel vuoto. Sembra una sposa, anche se il suo vestito, ricco di pizzi e merletti, è stato ridotto in brandelli in diversi punti. La sposa cadavere all’improvviso inizia a supplicarci. 

«Vi prego, aiutatemi. Lui è qui.» La giovane è terrorizzata e tutti i presenti trattengono il respiro. Sono l’eccezione. Ho vinto la sfida con Matteo. So benissimo che la giovane impiccata è Alessia. Il cerone che hanno usato per truccarla ha solamente evidenziato il suo pallore naturale e esaltato la sua bellezza, che in fondo ho sempre un po’ invidiato. Non posso temere la ragazza con la quale ho sorseggiato una deliziosa cioccolata calda solo una settimana fa.  La voce che ci aveva invitato ad entrare nella casa si rivolge nuovamente a noi e ci prega di scendere nuovamente le scale. L’evento è terminato e tutti noi siamo stati davvero coraggiosi. Mi sento euforica perché ho vinto. Matteo Rossi dovrà rimangiarsi le sue parole. Poso un piede sul gradino e non presto attenzione a ciò che mi circonda. Del resto è ancora piuttosto buio e l’ambiente  è ancora illuminato solamente dalla flebile luce delle torce. Una mano, afferra la mia caviglia ed ecco che succede. Urlo con con tutte le mie forze. Non ci sono spiegazioni logiche, non può essere uno scherzo degli organizzatori. La torcia di Isabella illumina la ringhiera ed è così che lo vedo. Matteo Rossi è al piano di sotto, vicino alla rampa di scale ed è stato lui ad afferrarmi. Ho resistito per tutta la durata dell’evento, ma mi sono lasciata battere all’ultimo minuto. Ho sopportato la vista di vampiri, ragnatele e spose cadavere ma sono stata tradita dalla mano di un mio compagno, dalla mano di un arrogante. 

« Non mi conosci ancora, ma oggi hai imparato qualcosa di me. Vinco sempre.» afferma quello sbruffone. Mi limito a non degnarlo di uno sguardo e riprendo il mio cammino. 

 

31 ottobre 2020 

 

I miei ricordi vengono interrotti dallo squillo del mio cellulare. Una videochiamata su whatsapp. Appare il nome di Matteo e io premo sul tasto verde, sorridendo. Una zucca e uno scheletro sono sedute sul divano accanto a mio marito, che indossa ancora le corna da diavoletto. 

«Papà ci ha raccontato ancora la storia del vostro primo incontro, mamma.» mi informa Roberta, con la bocca sporca di cioccolata. 

«Papà dice che sei sempre stata molto forte e tanto coraggiosa, mammina. Lui è sicuro che tornerai presto da noi. » aggiunge Serena. 

Osservo i loro visetti e mi perdo nello sguardo carico d’amore di mio marito. Sarò forte, coraggiosa e vincerò anche questa sfida. 

Copyright @ 2020 Silvia Bucchi

Questo racconto è un’opera di fantasia . Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale. 

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7 commenti su “Storytelling Chronicles #9: La casa stregata di Silvia Bucchi

  1. Silvia Maria Bragalini il said:

    Ciao Silvia!
    La cornice di questo racconto è decisamente contemporanea… più di così non potrebbe esserlo! Inutile girarci intorno: ciò che fa più paura, di questi tempi, è essere “positivi”. Spesso si ha più paura per i propri cari che per se stessi, specie se sono anziani o (come nel caso della protagonista) bambini.
    Non ho mai partecipato alle attività scout ma per anni ho dato una mano in parrocchia e so che sono una comunità creativa, che inventa sempre tante cose, anche a livello di divertimenti. Certo hai descritto gli intrattenimenti della casa stregata con tanta fantasia! Il flashback all’interno della narrazione mi piace, io stessa l’ho usato qualche volta. Come talvolta capita, sono proprio i bei ricordi del passato a dare forza alla protagonista di fronte ad un futuro incerto.
    Complimenti, davvero un bel racconto! 🙂

  2. Considerato che ogni volta, per Storytelling Chronicles, proponi un racconto davvero interessante -più scrivi, più noto non solo dei miglioramenti sostanziali, ma anche del grande coraggio nel lanciarti in idee diverse dal tuo solito: sono così felice di vedere queste cosine perché significa che la mia rubrica serve a tutte noi, in una maniera o nell’altra, entrambe però positivissime <3 -, ero molto elettrizzata di leggerti per osservare da vicino cosa avresti generato questa volta :3

    E ovviamente non ne sono rimasta delusa, anzi! 😀

    Forse perché sto vivendo da vicino questa situazione -la seconda ondata non è come la prima, qui, in provincia di Bergamo, ma comunque già ieri ho scoperto che solo nel mio paesino ci stanno 98 positivi: ho sempre cercato di rimanere calma, ma sto accusando qualche colpo nella speranza che tento di nutrire costantemente per non crollare 🙁 Non è affatto facile, anche se forse da fuori non lo do a vedere, per non spaventare i miei e/o mio fratello, o magari per fare buon viso a cattivo gioco con me stessa che pare un individuo diverso da me ahahah-, sono entrata subito nei panni di Martina, distrutta da quanto le sta capitando, non tanto per la sua persona, ma più che altro per la sua famiglia, Matteo con bambine al seguito, che sta chiaramente vivendo la sostanziale privazione di una moglie e di una madre tanto attive da lasciare il segno se smettono di esserlo per una forza maggiore alla quale deve obbligatoriamente sottostare <3 Insomma, Silvia, l'ho sentita sulla mia pelle, quasi fossi io a esistere nel corpo di lei, e, mentre abbandonavo la mia carne per lidi più tormentati, ho riflettuto che, ora come ora, essere deboli non è un'opzione 😉 Grazie, perciò, di aver concluso con una bella apertura tinta di verde "La casa stregata": lasciare le cose, diciamo, "incompiute" concede al dramma di avere una possibilità di vincita, ma pure il cosiddetto "E vissero tutti felici e contenti" ha un'occasione grazie a cui può non perdere terreno 😀 So di essere una pessimista inside -lo affermo spesso e lo ripeto altrettanto ahah-, ma al destino concedo sempre il beneficio del dubbio 😉

    A parte ciò, è chiaro che il topic di questo appuntamento mensile è stato perfettamente centrato ^_^ Non mi riferisco solo alla parentesi passata di cui ci hai reso edotti -è adorabile l'incontro tra i giovani Martina/Matteo :3 Tra l'altro, conosco proprio una coppia sposata con questi nomi ahah CHE COINCIDENZA *-* -, ma anche al presente della donna: dopotutto, cosa c'è adesso di più "spettrale" e spaventosa di una realtà dove la lontananza forzata dalla propria famiglia deve essere all'ordine del giorno? Forse batte persino una dimora zeppa di orrori come quella in cui ci hai catapultati 😉 Che dici?

  3. Stephi il said:

    Ciao Silvia! Grazie per questo bel racconto che hai scritto. Mi hai spiazzata all’inizio, devo ammetterlo: non mi aspettavo di leggere qualcosa di così contemporaneo e sempre più parte della nostra quotidianità. Mi è piaciuto però come poi questa realtà, che stiamo tutti a modo nostro vivendo, si sia mischiata con i ricordi di Martina, per dar vita a un racconto in cui senza dubbio si ritrova perfettamente la tematica del mese, che a mio avviso hai sviluppato in modo impeccabile. A parte qualche virgola di troppo, come ad esempio in questa frase “Una mano, afferra la mia caviglia ed ecco che succede.”, lo stile con cui scrivi è molto semplice e diretto, facilita la lettura e permette di immedesimarsi nella narrazione senza problemi, cosa che rende ancor più reale – se possibile – la storia raccontata. Trovo che questo racconto sia un ottimo lavoro, e spero di poter leggere presto altre produzioni della tua penna 🙂 Brava brava! A presto, Stephi.

  4. Ciao Silvia. Inizio questo commento con i miei complimenti. Hai scritto una storia contemporanea, molto realistica e verosimile tanto che per tutto il racconto ho pensato fosse autobiografico. Il racconto è scorrevole, scritto bene e per quanto l’ambientazione iniziale fosse diversa da quella che ci si aspetterebbe, direi che alla fine hai rispettato il tema benissimo.
    Hai intrecciato bene ricordi di una festa passata, un momento felice e di spensieratezza direi, con il presente decisamente più serio e più problematico. Mi è piaciuta questo paragone.
    Complimenti,
    a presto

  5. Simona Busto il said:

    Una splendida commistione, molto ben orchestrata.
    Mi piace il modo in cui il ricordo della paura del passato irrompe in quella, ben più spaventosa e tangibile, del presente.
    Hai ragione: il vero mostro è tra noi, ora, invisibile e spietato, molto terrificante di quelli che un film o una rappresentazione dell’orrore potranno mai concepire.

  6. Bellissimo racconto Silvia, molto attuale e intimo.
    Lo sai che a me la tua scrittura piace tanto, riesci sempre a coinvolgermi e questa volta più delle altre perché il tema è talmente attuale e sentito che non posso non farlo mio.
    Complimenti!

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