Storytelling Chronicles #8: Non me ne andrò di Silvia Bucchi

Cover di Tania

 

Benvenuti al consueto appuntamento con la rubrica Storytelling Chronicles, la rubrica ideata da Lara de La Nicchia Letteraria. Il tema di questa mese è  legato ad una canzone, che potevamo scegliere tra una serie di proposte. La mia scelta è ricaduta su He won’t go di Adele.

Scrivere questa storia mi ha emozionato molto per le tematiche che ho trattato e che sono state una sfida per me . La canzone e un bagno al mare mi hanno ispirato. Ho voluto rendere omaggio anche ad una città meravigliosa della mia regione, il Lazio. Sto parlando di Viterbo, la Città dei Papi. Ho trascorso in questo piccolo paradiso le mie vacanze posticipate, lo scorso novembre.

Storytelling Chronicles #8

Mese: Settembre 2020

Tema: He won’t go di Adele.

Titolo: Non me ne andrò

Autrice: Silvia Bucchi

 

 

Abbandono il mio corpo al flusso delle piccole onde, illuminate dal sole di mezzogiorno. Improvviso un morto a galla, ma non mi lascio andare completamente perché sollevo la testa, desiderosa di non bagnare del tutto i miei capelli. Ho le mie manie e spesso faccio le cose a metà, senza avere il coraggio di andare fino in fondo. Forse l’unica persona con la quale sono riuscita a farlo è stato Gabriele  e secondo le mie amiche e i miei genitori ho commesso un errore. Non si può stare con qualcuno quando si è morti dentro, come lo sono io, e temo che mi sentirò per sempre così. So già che mi mancherà qualcosa per tutto il resto della mia vita. Eppure il mare è sempre stato il mio rifugio e l’acqua il mio pensatoio. 

Sembra in effetti che le onde riescano a calmarmi, cullandomi e che io stia ritrovando un po’ di pace. Ma poi dalla riva giunge il suono di una canzone: He won’t’ go di Adele. Questa melodia  ha un significato enorme e le  sue note sono per me delle pugnalate. 

E mi abbandono di nuovo ai ricordi, a quei ricordi che fanno male. 

 

Avevo scelto di frequentare l’università a Viterbo perché era una sorta di compromesso, per me che ero nata e cresciuta a Roma. Volevo  essere indipendente dalla mia famiglia, ma allo stesso tempo non avevo il coraggio di allontanarmi troppo. Con un’ora e mezza di treno, avrei potuto tornare a casa in caso di bisogno o durante il fine settimana, ma sin dall’inizio avevo dovuto fare i conti con i disguidi che rendevano la vita un inferno ai pendolari della tratta Roma – Viterbo. Ero una matricola del Corso di Laurea in Comunicazione, Tecnologie e Culture Digitali e mi sentivo davvero padrona del mondo, anche se era quello ristretto di una meravigliosa cittadina di provincia. Viterbo la Città dei Papi e il suo quartiere medievale, il più antico d’Europa, esercitavano su di me un fascino infinito. 

Mi ero trasferita qualche giorno prima dell’inizio dei corsi e avevo passato quattro intere giornate a gironzolare per la città come una turista.  

Sapevo che avrei trascorso degli anni felici a Viterbo, lo avevo compreso mentre mi arrampicavo tra i vicoli del quartiere medievale e dopo aver acceso un cero per mia madre davanti alla statua di Santa Rosa. Inoltre non ero sola. Vivevo con Marta in un appartamento confortevole, a pochi passi dall’Università e situato al centro storico. La mia coinquilina era la più cara amica di mio fratello e  gironzolava dentro la mia casa sin da quando eravamo piccole. Marta aveva un solo anno più di me ed era iscritta al secondo anno di Agraria. 

Era stato proprio grazie a lei che avevo tanto sentito parlare delle meraviglie di Viterbo, anche se, prima del trasferimento, avevo visitato di persona solamente le rilassanti Terme dei Papi. Inoltre non appena ero arrivata in città, avevo incontrato un’amica. Pioveva a dirotto e il vento aveva distrutto il mio ombrello. Mentre aspettavo Marta, che avrebbe dovuto consegnarmi le chiavi di casa,  ma era stata trattenuta per un imprevisto sul lavoro, trovai rifugio insieme alle mie valigie all’interno di una tavola calda situata proprio sotto all’appartamento che avrei condiviso con la mia amica. Giulia era la figlia dei proprietari e mentre mi serviva una lattina di Coca Cola e un’enorme pezzo di pizza Margherita, si fermò a parlare con me. Scoprimmo di avere molto in comune. Mi rivelò che Marta era una cliente abituale, che anche lei era una matricola del mio stesso corso di laurea e si offrì persino di farmi da cicerone. Con lei visitai il Museo Civico di Viterbo, e quello etrusco, il Rocca Albornoz.Quando il nostro peregrinare ci condusse nei pressi di Porta Fiorentina, davanti alla Mondadori di Piazza della Rocca, scoprimmo di avere in comune anche un grande amore per la lettura e per gli spritz che servivano nel locale accanto alla libreria. 

 

La voce di Adele mi raggiunge e i ricordi ritornano e diventano dolorosi. Il mio corpo si fa  pesante e temo di affogare, senza nemmeno aver raggiunto il largo. Cerco di rilassarmi e di tenere lontani quei pensieri, legati a un passato che non tornerà. Si rivela, però, uno sforzo inutile perché il volto di Gabriele comprare davanti ai miei occhi, anche se lui non è più con me. Lo rivedo solare, affascinante e allegro come il primo giorno in cui l’ho incontrato. Mi fa male, ma non posso farne a meno. 

I ricordi bussano a tradimento alla porta della mia mente ed entrano con prepotenza. Non sono più al mare, è ottobre e ho iniziato da poco il mio primo anno d’università. Sono a Viterbo e fuori la temperatura inizia a diventare rigida. 

 

Giulia non era stata solamente la mia guida turistica personale, ma mi aveva inserito nella sua comitiva, formata dai ragazzi del luogo, con i quali era cresciuta. Per festeggiare la fine della prima settimana dei corsi, eravamo andati tutti insieme in un locale situato nei pressi di Piazza della Morte, dove proprio quella sera era stata organizzata una serata karaoke. Avevo perso una stupida scommessa e Giulia aveva scelto per me una penitenza, che avrebbe potuto, in poco tempo, rendermi lo zimbello di gran parte dei miei compagni di corso, che quella sera, come molti giovani viterbesi e non, affollavano il pub. Giulia mi costrinse ad esibirmi con He won’t go di Adele, anche se ero stonata come una campana. Mi sentivo decisamente a disagio e non riuscivo ad azzeccare una sola nota, quindi mi fermai. Uno sconosciuto, però, salì sul palco e iniziò a cantare con me. Era buio, non potevo osservare con attenzione i lineamenti di colui che mi aveva salvata e che, a differenza di me, aveva una voce meravigliosa e intonata, ma il suo odore mi colpì: mi ricordava i biscotti al burro che preparava nonna Vittoria, ogni volta che io e mio fratello andavamo a trovarla da bambini. Ripresi a cantare e grazie allo sconosciuto iniziai anche a migliorare la mia scarsa performance. Quando la canzone terminò, il pubblico applaudì e io sorrisi, rendendomi conto che forse avevo esagerato e che avevo il brutto vizio di complicarmi la vita per delle stupidaggini. Non erano le audizioni per Sanremo e lì stavamo tutti cercando di divertirci insieme agli amici e ai nostri coetanei. 

«Ciao. Mi chiamo Gabriele»si presentò lo sconosciuto, stringendomi la mano con decisione. «Ginevra.  Ginny per gli amici» mormorai come risposta, maledicendo la mia timidezza. Il mio salvatore era davvero un ragazzo attraente. Aveva il fisico di un nuotatore, gli occhi verdi e i lineamenti delicati. Mentre gli facevo una radiografia, metaforicamente parlando, ci raggiunse Giulia, che lo abbracciò. 

«Finalmente sei tornato» aggiunse la mia amica, baciando Gabriele sulla guancia. Scoprii quindi che era proprio quel marcantonio, che mi aveva salvato dalla peggior figuraccia della mia vita, l’amico di cui Giulia e gli altri ragazzi della comitiva mi avevano così tanto parlato, quello che aveva trascorso tutte le vacanze estive in Inghilterra. 

Non appena  la mia amica lo lasciò libero, il giovane mi sorrise ed io ricambiai. 

La musica continua a raggiungermi. Provo ad infilare la testa sotto l’acqua, non curandomi del proposito di non bagnare i capelli. La melodia, però, si ostina a perseguitarmi perché è impressa con il fuoco nella mia memoria. Durante il nostro primo incontro avevo vissuto una sorta di colpo di fulmine per Gabriele, ma non mi ero innamorata di lui per quel motivo. L’amore, quello vero, nasce pian piano e si nutre di piccoli ma importanti gesti quotidiani ed è quello che successe a noi in quel freddo inverno del 2018. L’amore si alimenta anche di momenti, per lo più semplici.

 

Se all’inizio era stato l’aspetto di Gabriele a colpirmi, giorno dopo giorni iniziai ad innamorarmi del suo modo di essere, della sua gentilezza, della luce che gli illuminava gli occhi quando sorrideva. Ci furono dei momenti che rimasero impressi nella mia mente e che mi fecero capire che mi sarei innamorata davvero e per la prima volta.  In quelle occasioni il cuore batteva forte, le mani iniziavano a sudare freddo e la mia respirazione  diventava irregolare. 

Stava per terminare il mese di novembre e i commercianti iniziavano a illuminare le vie, con un certo anticipo, per il Natale. Ero appena uscita dall’università e fuori era completamente buio.  Le parole di mia madre, che mi chiedeva di comprare un souvenir, anzi per essere più precisa, una calamita per mia zia, mi rimbombavano nelle orecchie. Se fossi tornata a Roma per il fine settimana senza quel pensierino per sua sorella, molto probabilmente la mamma mi avrebbe diseredata. Sfidando il freddo e il buio, mi incamminai verso Piazza San Lorenzo, affrontando le famose salite, che mettevano a dura prova il mio fisico poco allenato, ma che fornivano un trattamento più efficace di qualsiasi palestra. Mentre mi lamentavo tra me e me, pensai che in quello stesso momento avrei potuto trovarmi nel mio appartamento a rilassarmi, bevendo una delle tisane che Marta preparava in quantità industriale. Nel frattempo avevo raggiunto la mia meta: ero arrivata a Piazza San Lorenzo, il luogo più importante di Viterbo e per l’ennesima volta la maestosità del Duomo e del Palazzo Papale mi colpirono, lasciandomi senza fiato. Una voce mi fece sobbalzare, raggiungendomi all’improvviso. Quella era una voce che avrei riconosciuto tra mille, perché apparteneva a Gabriele. Come accadeva sempre più spesso, quando ero con lui, da sola o in compagnia dei nostri amici, il mio cuore iniziò a battere con forza. In sua presenza non riuscivo nemmeno ad esprimermi senza arrossire o balbettare. 

«Ciao Ginny.Che stai facendo qui con questo freddo? » mi salutò. 

Sorrisi, tentando di sembrare disinvolta mentre rispondevo: « Buon pomeriggio, Gabriele. Sto cercando una calamita, un souvenir in realtà, per mia zia, che adora riempire il frigorifero di magneti, provenienti da tutte le parti del mondo. Quello di Viterbo, la città  dove vive la sua nipotina preferita, non poteva di certo mancare alla collezione.»

«Non credo che il negozio di souvenir del Duomo abbia ciò che cerchi, o meglio so dove potresti trovare qualcosa di meglio. Ti fidi di me?» mi domandò con un sorriso che illuminava la piazza. 

Ovviamente lo avrei seguito anche dall’altra parte del mondo, ma mi guardai bene dal confessarglielo. Mi limitai ad annuire, scuotendo la testa. 

«Dove stiamo andando? » chiesi, mentre lo seguivo. 

«Hai mai guardato con attenzione la vetrina della merceria che si trova proprio di fronte a casa tua?» la domanda fu accompagnata da uno dei suoi meravigliosi sorrisi. 

« In verità no. Non sono molto interessata a quel genere di articoli e quando entro dentro a quel negozio, ho già le idee chiare su che cosa desidero e non mi fermo a osservare i dettagli.» gli spiegai, sentendomi davvero una stupida. Come minimo avrà pensato di avere davanti a sé una ragazza superficiale

«Maria, la proprietaria, vende dei magneti e anche dei souvenir migliori di quelli un po’ pacchiani che ti propinano al Duomo. Fidati di me.» Intanto eravamo arrivati proprio vicino alla piazzetta dove abitavo. Dall’altro lato della strada, Giulia ci vide e ci salutò sventolando con energia il braccio, prima di servire un cliente, che aveva deciso di sfidare il clima rigido, mangiando un pezzo di pizza, seduto a uno dei tavolini all’aperto. Questi, però, furono solamente dei dettagli secondari. Quel giorno, mentre lo vedevo sorridere alla signora Maria e alle anziane clienti della merceria, ebbi la conferma di essermi innamorata di lui. Amavo la gentilzza che riservava al prossimo e  il modo chiaro e preciso con il quale aveva spiegato a me e a Marta la storia dei principali monumenti della città, che avevamo visitato con lui, che era iscritto al secondo anno di Scienze dei Beni Culturali e amava ogni singolo angolo della sua Viterbo. 

Mi ero innamorata del suo sorriso e dei piccoli gesti quotidiani che riservava a noi, i suoi più cari amici o anche agli estranei, che aiutava senza chiedere nulla in cambio. Se durante il nostro primo incontro al pub mi ero invaghita del suo aspetto fisico, in seguito mi innamorai davvero del suo carattere e del modo coinvolgente con cui si relazionava con tutte le persone che lo circondavano. 

Di una cosa, però, ero certa in quei giorni: lui non era innamorato di me. Non avevo mai goduto di una forte autostima e credevo di essere una ragazza bruttina e goffa.In famiglia  la bellezza e la fiducia in se stessi erano state ereditate solamente da Marco, il mio adorato fratello maggiore. 

La canzone di Adele non è ancora terminata. Davvero bastano cinque minuti e una melodia per far riemergere così tanti ricordi? Sorrido pensando al modo in cui allora temevo che i miei sentimenti per Gabriele non fossero ricambiati. Sorrido perché vorrei tornare indietro nel tempo, quando il dolore e il senso di perdita non si erano ancora impossessati della mia anima. Vorrei tornare ai giorni in cui le mie più grandi preoccupazioni erano gli esami e il mio cuore spezzato e soprattutto vorrei che quell’amore non fosse mai stato ricambiato. Il mio, però, è un sorriso carico di amarezza. 

 

Il pensiero che il mio amore non fosse ricambiato mi faceva compagnia, in quei freddi giorni di dicembre. Amavo crogiolarmi nelle mie pene amorose, quando non ero occupata con lo studio. La prima sessione di esami si avvicinava e io e Giulia approfittavamo di ogni momento libero, per studiare insieme, sedute ai tavoli all’aperto della tavola calda, oppure nel mio appartamento. Quel giorno, però, la mia amica aveva la febbre ed io mi ero ritrovata da sola in biblioteca. Avevo deciso di concedermi una pausa, avevo afferrato il cellulare e avevo trovato un posto nell’atrio, sedendomi su un muretto. Presi il mio smartphone, mi infilai le cuffie nelle orecchie e cercai He won’t go su YouTube. Mi abbandonai ai ricordi delle mie pene d’amore e a quella che consideravo ormai la canzone simbolo del mio sentimento a senso unico. All’improvviso qualcuno sfilò una delle cuffie dal mio orecchio facendomi sobbalzare. Era Gabriele. Aveva infilato l’auricolare e stava ascoltando con un certo interesse la canzone. Era arrossito e le sue labbra si erano allargate in un timido sorriso. 

«Scusa, ti ho spaventato. Queste note mi faranno per sempre pensare a te, Ginny». 

«E non dimenticherai le mie straordinarie capacità canore.» Anch’io sorrisi, ricordando la sera in cui ci eravamo incontrati per la prima volta. 

«Devi ammetterlo, ti sei divertita.» Il tono dolce della sua voce fece aumentare i battiti del mio cuore. 

Annui e poi gli chiesi, continuando a fissarlo con un sorriso da ebete dipinto sul volto: «Che cosa ci fai qui?»

La sua risposta mi colse impreparata e segnò l’inizio di un periodo meraviglioso. 

«Sono qui perché ti stavo cercando. Giulia mi ha detto dove avrei potuto trovarti e sono corso da te. Ha anche aggiunto che i tempi sono maturi e che avrei dovuto rivelarti ciò che ho nel cuore da un bel po’.  Il fatto è che tu mi piaci e anche molto e questa sera  vorrei uscire a cena con te» disse con una certa timidezza.

«Verrò volentieri perché anche tu mi piaci.» sussurrai. Ma ero stata davvero io a pronunciare quelle parole e a espormi così tanto? Gabriele mi diede un bacio sulla guancia e poi si allontanò, promettendomi che sarebbe passato a prendermi alle otto. 

 

Di quella serata ricordo ogni dettaglio: il mazzolino di fiori che mi regalò e che aveva preso dal giardino di sua nonna, la nostra passeggiata mano nella  mano fino al ristorante e il modo in cui ci eravamo dichiarati il nostro amore reciproco davanti a un piatto di pasta condita con una deliziosa salsa ai mirtilli. Mentre mi immergo nell’acqua per non sentire la voce di Adele, ricordo il primo bacio che io e Gabriele ci scambiammo, una volta giunti davanti al portone del palazzo dove abitavo. 

Passarono i mesi e così decisi di presentarlo ai miei genitori e a Marco, che si innamorarono presto di lui, considerandolo come un membro della nostra famiglia. Spesso mi accompagnava, quando tornavo a Roma per il weekend oppure si univa a me, Marco e Marta quando organizzavamo delle escursioni o delle gite. 

Mentre sono qui, sott’acqua, intenta a soffocare i ricordi penso a Marco e a Gabriele, sdraiati l’uno vicino all’altro sotto il sole di Procida e la malinconia mi assale. Li ho persi entrambi: il primo a causa del destino avverso e il secondo per una mia scelta. Mi chiedo se la psicologa, i miei genitori, Marta e Giulia abbiano ragione, quando mi consigliano di chiamare Gabriele e di accettare il suo aiuto. Possiamo davvero impedire a chi ci ama di preoccuparsi per noi, quando stiamo affondando? Allontanando il ragazzo che amo, ho davvero salvato il suo futuro? 

Il pensiero di Marco e Gabriele, che scherzano insieme, fa sì che delle lacrime traditrici mi bagnino le guance, ma fingo persino con me stessa e mi ripeto che sono gocce di acqua di mare. Tornare agli eventi di quella notte maledetta è troppo difficile per me, ma è inevitabile. Non vorrei ricordare, ma i miei pensieri vivono ormai di vita propria e non posso fermarli. 

 

Una telefonata di mio padre distrusse le nostre vite. Era l’autunno del 2019 e stavo uscendo dall’Università insieme al mio fidanzato. Ero particolarmente felice perché avevo appena superato con il massimo dei voti l’esame più difficile del mio corso di studi. Non appena notai sul display la scritta “Papà” risposi , impaziente di comunicargli la lieta novella. Le sue parole mi raggelarono: «Torna subito a Roma. Tuo fratello ha avuto un incidente». Era stato investito da una macchina, mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali. Come me, anche lui, stava uscendo dalla sua facoltà, dopo aver sostenuto l’ultimo esame prima della laurea. 

Marco è forte. Ce la farà. Andrà tutto bene. Vedrai che tra qualche giorno riderete insieme di questa avventura.  Pensavo a tutto questo mentre tornavo con Giulia e Gabriele a Roma, a bordo dell’utilitaria, che il padre del mio fidanzato ci aveva prestato. 

Purtroppo, però, le cose non andarono in questo modo e mio fratello morì dopo due giorni di coma. 

 

Alcuni dicono che starò meglio senza di te

Ma non ti conoscono come ti conosco io

O almeno non conoscono i lati di te che io credevo di conoscere

 

Non posso sopportare questo momento

Si protrae mentre io perdo la testa

Riaffiorano i ricordi dalle cose che trovo

Come annotazioni e abiti che hai lasciato

 

Svegliatemi, svegliatemi quando tutto è fatto

Non mi alzerò finché questa battaglia non sarà vinta

La mia dignità sta per essere distrutta

 

Ma non me ne andrò

Non posso farcela da sola

Se questo non è amore, allora cos’è?

Voglio correre il rischio

 

Adele termina di cantare ed io decido, dopo aver asciugato le mie lacrime, di tornare a riva da Giulia e Marta. Rifletto un attimo sul senso delle parole di quella canzone, che era stata la colonna sonora della mia storia d’amore e mi rendo conto che il  testo rispecchia alla perfezione il significato delle parole che Gabriele aveva pronunciato, quando io avevo deciso di porre fine ad ogni cosa. 

 

Con Marco era morta anche una parte di me e sentivo che non mi sarei ripresa. I medici rivelarono ai miei genitori che il grave lutto aveva scatenato in me una forte depressione. Ero tornata a Roma, lasciando in stand by l’università e trascorrevo le mie giornate sotto le coperte, come se quegli strati potessero impedire alla realtà di aggredirmi. L’intero universo aveva assunto un colore nero e tetro ai miei occhi. Non vedevo più nulla di bello intorno a me e nei brevi attimi di lucidità che mi restavano, mi sentivo in colpa nei confronti di Gabriele e soprattutto dei miei genitori. Mia madre e mio padre avevano appena perso un figlio ed erano costretti a fare i conti con il mal di vivere della figlia superstite. Avrei dovuto essere io ad occuparmi di loro e non il contrario. L’incapacità di porre fine a questa situazione aumentava  la mia frustrazione, creando così un circolo vizioso. 

Mi sentivo un mostro anche nei confronti di Gabriele, che si era trasferito nella stanza degli ospiti della casa dei miei genitori, per restarmi accanto. Decisi così di affrontarlo. Non volevo più stare con lui, sapendo che ormai ero diventata un cadavere che ambulava di stanza in stanza, desideroso di rintanarsi sotto le coperte per escludere il resto del mondo. Meritava qualcosa di meglio e io desideravo solamente la sua felicità. 

Provò ad opporsi alla mia scelta, ma io fui irremovibile. Quando volevo, sapevo ancora essere la ragazza testarda che ero stata un tempo. 

Lui mi dichiarò un’ultima volta il suo amore, mi giurò che mi avrebbe aspettata e che sarebbe stato disposto ad affrontare insieme a me una situazione che certamente lo spaventava, ma che non lo avrebbe mai spinto a tirarsi indietro. Le sue parole lasciarono un segno dentro di me, ma non cambiai idea. 

Giulia mi ha rivelato che Gabriele non si è rassegnato e mi sta aspettando. In un certo senso, lui non se ne è andato. Per la prima volta, mentre mi sdraio sul mio telo da spiaggia e prendo tra le mie mani la mia copia di Heartstopper, una delle graphic novel più dolci che io abbia mai letto, mi domando se io non abbia sbagliato allontanando Gabriele. Forse hanno ragione le mie amiche, la mia psicologa e i miei genitori. Forse quando si sta male, abbiamo davvero bisogno di chi amiamo accanto e anche loro hanno la necessità di starci vicino. 

Questa consapevolezza è il frutto di mesi di analisi e anche dei farmaci che sto assumendo e che mi aiutano a vedere la realtà meno nera. Sto meglio, ma sono consapevole che il mio percorso e la mia terapia sono ancora all’inizio. Sto cercando la forza dentro di me, anche perché sono certa che Marco vorrebbe vedermi combattere. 

Sorrido e informo Giulia della mia decisione: «Lunedì tornerò a Viterbo con te».

 

Copyright @ 2020 Silvia Bucchi

Questo racconto è un’opera di fantasia . Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale. 

 

 

 

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11 commenti su “Storytelling Chronicles #8: Non me ne andrò di Silvia Bucchi

  1. Allora devo dirti che sono contenta di vederti uscire dalla tua confort zone che sono i drama coreani finalmente ritrovo la Silvia che ho sempre conosciuto e che sa scrivere anche altro. Questa storia è bellissima e anche se avevo detto che ce n’era un’altra tua più bella adesso cambio idea perchè invece è questa, sei stata bravissima a mettere canzone e storia unendole in un tutt’uno.
    Mi piace anche la speranza con cui l’hai continuata, per quanto lo sai io ami i lieto fine e mi piacerebbe leggere un seguito per me può anche finire così dove ci sono tutti i presupposti per un happy ending coi fiocchi.
    Davvero bravissima

    • silviatralerighe il said:

      Grazie. Susy, nella mia testa c’è stato l’happy ending. Magari potrà essere una buona scusa per farli tornare in qualche racconto futuro. In realtà per me è molto più difficile scrivere della Corea, che è una realtà che comunque conosco poco e che richiede da parte mia delle ricerche, che avventurarmi nel noto. Viterbo è una cittadina che ho visitato quasi un anno fa e che ricordo benissimo. Ci sono alcuni eventi che ho modificato, ma che ho vissuto in prima persona. Diciamo che in questo caso sono riuscita a scavare più sul personale, che per certi versi è più facile, ma per altri più difficile.

  2. Silvia Bragalini il said:

    Ciao Silvia!
    Innanzitutto mi piace molto il fatto che, dopo averci portato per un po’ in Oriente, tu sia tornata a parlare dell’Italia, specie di una città del Lazio che è nota, ma non universalmente visitata come Roma. Mi piacciono i racconti che descrivono luoghi “vissuti” e sentiti e sicuramente questo lo è.
    La canzone è in linea con la storia che hai scelto di raccontare: Gabriele, da un punto di vista metaforico, non se n’è andato, ma sta ancora aspettando che Ginny torni da lui. Poi, come dice Susy, è vero che non sappiamo se ci sarà un happy ending o no, ma questo finale aperto fa ben sperare.

    Ti faccio notare solo, come forma, “un’enorme pezzo di pizza” con apostrofo che va tolto e un refuso “gentlezza” al posto di “gentilezza”.
    Per il resto complimenti e alla prossima!

  3. Ciao Silvia!
    Allora, posso dirti che, anche se fuori dalla comfort zone dei Korean Drama, non si nota affatto perché sei bravissima! Racconti una storia coinvolgente, intensa e triste ma con questo happy ending accennato che lascia ben sperare e fa venire voglia di leggere altro!
    Una storia in cui Adele calza alla perfezione!
    Brava!

  4. Stephi il said:

    Ciao Silvia! Grazie per questa bellissima storia che hai scritto. L’ho trovata davvero potente, nella molteplicità di tematiche che affronta e anche nel modo in cui lo fa. Sei brava a creare storie che tengono incollati alle parole, riesci a trasmettere senza alcuna fatica tutte le emozioni di cui scrivi. Mi sono immaginata ogni scena che hai descritto, ho vissuto insieme alla protagonista ogni momento, e trovo che il modo in cui il racconto si sviluppa rappresenti molto bene anche la canzone che hai scelto, meravigliosa. Davvero complimenti!

  5. Ciao. Sono contenta di aver letto la tua storia, temi importanti e difficili che però hai affrontato in modo delicato. Ho apprezzato lo stile, il ritmo e come hai fatto vedere le cose piano piano, dettaglio dopo dettaglio. Mi hai tenuta incollata fino alla fine, curiosa di scoprire cosa fosse successo, perché erano arrivati a quella situazione.
    So che lo spazio è poco, ma vorrei conoscere altro della storia di questi due personaggi, di come alla fine si sono ritrovati.
    A presto

  6. AngelTany il said:

    Tristezza e malinconia, ma anche forza e speranza, ti ha ispirato la forte voce di Adele e hai saputo creare una storia davvero ben fatta e commuovente, che spezza il cuore. Ottima la scelta dell’ambientazione. Viterbo è una città a cui sono molto affezionata (che ho a un ora di macchina ahahah) e adoro da sempre il suo centro storico e la Tuscia. Ancora una volta sei stata davvero brava, complimenti.

  7. Anne Louise Rachelle il said:

    Ciao Silvia! Devo ammettere che questo racconto-viaggio è stato a dir poco spettacolare. Mi piace molto scoprire luoghi a me sconosciuti durante una lettura, mi incita a leggere con maggiore foga e interesse: lo stesso è capitato con il tuo piccolo capolavoro. Ho passeggiato per Viterbo come se fossi davvero lì, grazie anche alle tue meravigliose fotografie!
    Premesso ciò, ammetto anche che questa è una delle canzoni di Adele che ascolto meno, non che non mi piaccia (Lei è magistrale), ma proprio perchè troppo triste… ascoltarla quando non si è nell’animo giusto è una specie di istigazione a fare cose brutte (eheheh). Tuttavia, la tua storia mi ha colpita profondamente, la tua interpretazione è molto delicata, dolce, triste ma non distruttiva. L’ho apprezzato moltissimo. Inutile dire che il tema del mese è stato centrato in pieno! Quindi bravissssssima! Alla prossima <3

  8. Parto subito col dire che questo testo è davvero una bomba -mettere il piede fuori dalla tua comfort zone ti fa davvero bene, ragazza ;)- perché non potevi rendere meglio “He won’t go” di Adele, uno dei pezzi che AMO di più della cantautrice inglese <3 E da ciò si evince come mai non riesca a uscire dal mio pessimismo cronico ahahahah Sorvoliamo, va ahahah

    A parte qualche errorino qui e lì di battitura, niente di trascendentale comunque, sei stata bravissima, considerando che dall'inizio alla fine ho piagnucolato a destra, a manca e pure nel centro (?): dopotutto, vuoi per la tristezza, vuoi per la felicità, piangere è stato il mio mood giusto -obbligatorio in casi come il presente- mentre affrontavo il tuo racconto XD

    Ammetto che ho temuto parecchio, mentre mi avvicinavo alla conclusione -se si fosse avverato qualcosa di diverso dal lieto fine, quindi il peggio del peggio dal punto di vista del mio cuoricino romantico, non sarei sopravvissuta, temo ahah-, ma poi quella battuta d'epilogo, semplice ma potente, mi ha risollevato completamente il morale 🙂 <3

    Il tuo pezzo, Silvia, induce a riflessioni talmente reali che, a volte, mi sono chiesta se stavo "solo" leggendo o lo stavo vivendo sulla mia pelle XD Hai reso credibilissimo il malessere di Ginevra, sia per la perdita di Marco -tangibile ed esterna- sia per quella di Gabriele -mentale e interna-, due scomparse che, sebbene diverse fra loro, hanno creato il medesimo vuoto all'interno del cuore della ragazza.

    Sono lieta che, alla fine, si sia accorta dell'errore compiuto. Sono contenta che abbia capito cosa fare e come farlo. Perché, in fin dei conti, l'importante è ricominciare da qualche parte, il resto verrà da sé, con il giusto tempo che necessita 🙂

  9. Simona Busto il said:

    Commovente, dolce e piena di delicatezza. Una storia che tocca temi drammatici, come il lutto e la depressione, ma che sa anche mettere in risalto l’amore e la speranza.

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